Abuso dello strumento concordatario

Cass. Civ., Sez. I, n° 5677/2017

IL CASO

Il Tribunale di Napoli, revocato il concordato preventivo al quale era stata ammessa una Società, si è dichiarato incompetente in favore del Tribunale di Latina con riferimento a una nuova proposta concordataria depositata e successivamente revocata dalla stessa Società che, pochi mesi dopo, ha trasferito la propria sede all’estero, cancellandosi dal registro delle imprese.

A seguito della presentazione di istanze di fallimento, la debitrice ha depositato due nuove proposte di concordato preventivo; il Tribunale di Latina le ha dichiarate inammissibili e, ritenuta sussistente la giurisdizione del Giudice italiano, ha dichiarato il fallimento della Società.

La fallita ha interposto reclamo, rigettato dalla Corte d’Appello di Roma; la Corte ha osservato che, dal quadro probatorio relativo alle vicende societarie, il trasferimento all’estero della sede sociale doveva considerarsi fittizio. La Corte territoriale, inoltre, non ha reputato ostativa al fallimento l’avvenuta presentazione dell’ennesima domanda di concordato preventivo.

 

IL COMMENTO

Con la pronuncia in esame la Cassazione torna ad occuparsi dell’utilizzo a meri fini dilatori dello strumento concordatario.

Già nel 2015 le Sezioni Unite, con la sentenza n° 9935, avevano confermato la riconducibilità di detta ipotesi alla figura dell’abuso del diritto, affermando che quando la domanda di concordato preventivo (ordinario o con riserva) viene presentata dall’imprenditore non a fini regolativi della crisi di impresa ma con il solo scopo di differire la dichiarazione di fallimento, la stessa è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso dello strumento concordatario.

Abuso che, in particolare, si configura quando “con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti”.

Nel caso di specie la Cassazione, muovendosi nel solco tracciato dalle Sezioni Unite, dopo aver confermato la correttezza dell’iter motivazionale che aveva condotto il Giudice di merito a ritenere fittizio il trasferimento della sede sociale all’estero, condivide le valutazioni della Corte territoriale in merito al carattere “meramente dilatorio, e come tale indubbiamente abusivo”, della nuova proposta di concordato presentata dalla Società; tale proposta, secondo la Suprema Corte, era unicamente “funzionale ad allungare i tempi tesi a pervenire alla regolazione dello stato di dissesto” concretizzando, in tal modo, un abuso del diritto del debitore.

In ogni caso, ad avviso di “MFB Partners”, la natura “abusiva” della nuova domanda di concordato a seguito di rinuncia alla precedente va accertata di volta in volta alla luce delle peculiarità del caso concreto.

L’unica preclusione che la normativa fallimentare pone alla proposizione di nuova domanda è infatti quella sancita dall’art. 161, comma 9; in forza di tale disposizione non è consentito il deposito di una nuova domanda di concordato “con riserva” all’imprenditore che, nei due anni antecedenti, abbia depositato altro ricorso ex art. 161, 6° comma, l. fall. al quale non abbia fatto seguito un provvedimento di ammissione a concordato o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis.

Al di fuori di tale ipotesi, pertanto, secondo “MFB Partners” la qualifica in termini di abuso della nuova domanda che segua quella non addivenuta all’omologazione non potrà mai derivarsi in via automatica ma andrà operata in concreto, analizzando nel merito la complessiva condotta dell’imprenditore e raffrontando l’interesse di questi con eventuali, contrapposte domande di soggetti (creditori o Pubblico Ministero) istanti il fallimento.